L’arte “pret a porter”: dalla galleria alla maglieria

Keith Haring comincia a disegnare coi gessetti sugli spazi neri, destinati alla pubblicità, nella metropolitana di New York, nessuna parola, nessuna frase solo tanti geroglifici (Bonami, 2009).

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La polizia gli infligkeith-haring-berlinoge multe quando riesce a beccarlo, viene anche portato spesso in commissariato, tuttavia la sua arte è fondamentalmente innocua se non benefica, impressa negli spazi pubblicitari, non disturba nessuno, anzi contribuisce ad abbellire la città e a costruire il suo stile cosmopolita; i passanti non possono fare a meno di osservare e ammirare questi “disegnini” semplici, infantili, eppure così rappresentativi della vita e di come vanno le cose nel mondo; al punto che anche i poliziotti diventano suoi fans.

Figlio di un ingegnere che nel tempo libero si dilettava a disegnare vignette, il figlio non poteva che essere della stessa sostanza; a differenza del padre ne farà una professione, e un marchio personale di fabbrica.

Parlare di marchio di fabbrica è più che lecito, data la sua intuizione straordinaria: apre un negozio a Soho, quartiere delle arti di New York, il “Pop Shop”, in cui vendeva gadget, maglie e riproduzioni delle sue creazioni. Già di per sé immediata e per tutti, la sua arte arriva ancora di più sulla bocca di tutti o meglio sulla maglia di tutti.keith-haring-07 Haring inizia a fare della sua arte uno scopo commerciale, diventa un vero e proprio business; con Haring, l’arte, riduce ancora di più la distanza tra l’artista, la sua arte e il grande pubblico; non solo elimina il divieto del “non toccare”, ma arriva a far indossare i suoi personaggi che prendono vita sulle maglie, le scarpe, i quaderni e le tazze. Ovviamente grazie alla sua idea di successo, questa tendenza non avrà fine e diventa un nuovo modo di fare soldi.

Il successo di questa iniziativa è da riscontrare anche nella morte precoce dell’artista, entra a piedi pari in una New York, nella quale il virus dell’AIDS comincia a diffondermi a macchia d’olio come la sua arte e la sua vita sfuma fin troppo presto, prima ancora di lasciare una traccia più marcata di quanto non avrebbe potuto fare. “Lo stile di Haring presto diventa decorativo. Il sistema dell’arte lo usa e ne abusa” (Bonami, 2009).

La sua intuizione geniale, per certi intellettuali arriva al limite dello scandalo, per alcuni si è venduto l’anima al soldo, al denaro; anche nelle gallerie d’arte i suoi graffiti si vendono a peso d’oro, nessuno si sarebbe mai rifiutato di ospitare i suoi geroglifici, neanche quelli egiziani, venivano fra un po’ riconosciuti e apprezzati come quelli di Haring. Anche qui in Italia a Pisa, sulla parete esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate, potrete godere, dal vivo del suo stile infondibile.

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Come tutte le cose buone ma troppo fresche, tipo la mozzarella di bufala, anche il linguaggio di Haring non avrà lunga durata. Oggi quasi tutti saprebbero riconoscere un segno di Keith Haring, ma pochi sanno che per un attimo, come il flash di una macchina fotografica, egli è riuscito a illuminare in modo inconfondibile un centimetro quadrato della storia dell’arte” (Bonami, 2009).

L’ondata del brand commerciale alla Haring non si è fermato e altri artisti oggi, passeggiando per le strade, si possono osservare sulle magliette dei passanti, basti pensare a Warhol con la sua Marilyn o i suoi barattoli di zuppa di pomodoro Campbells, diventati attraenti solo grazie all’artista (sul gustosi avrei ancora da ridire). Warhol ha iniziato la rivoluzione dell’arte consumistica, prese beni di consumo e li trasformò in arte, un percorso inverso a quello di Haring.

Dopo aver letto questo articolo, la speranza è quella di avervi trasmesso un po’ della forza e al contempo stesso dello stile naif del “writer”, non considerandolo solo come il ricamatore di una tazza o di un bel paio di scarpe, ma come un visionario della storia dell’arte: il suo obiettivo era rendere la sua arte accessibile economicamente, dato che lo era visibilmente, per qualsiasi passante o cittadino del mondo. A lui il merito di aver decorato piazze, gallerie d’arte, gallerie metropolitane e esseri umani, chissà se, grazie a lui, dopo aver compreso il suo valore, ognuno di noi sentirà di portare e aver portato in giro un’opera d’arte.

Vi consiglio questo sito ufficiale per qualche acquisto dei gadget di Haring: http://www.pop-shop.com/ perchè del resto l’arte è bella da vedere, ma quando si indossa è tutta un’altra storia.

 

Giulia

 

Per approfondire:

Bonami, F. (2009). Lo potevo fare anch’io. Milano.

 

 

 

 

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